Come nasce la grassofobia
Quello dei medici nei confronti dei pazienti grassi è stato per decenni un pregiudizio finora nascosto ma diffuso e molto radicato. Lo confermano numerosi studi in campo sociologico e medico.
Secondo lo studio “Obesity Stigma and Bias” e lo studio Confronting and coping with weight stigma: an investigation of overweight and obese adults, negli Stati Uniti ad es.
- Circa il 52% delle donne afferma che il loro peso è stato un ostacolo alla ricezione di un’assistenza sanitaria efficace.
- Circa il 79% degli individui con un peso maggiore riferisce di consumare più cibo per far fronte alla stigmatizzazione del peso.
- Circa il 53% delle donne con obesità riferisce che gli operatori sanitari fanno commenti inappropriati sul loro peso
- La discriminazione basata sul peso è aumentata del 66% tra il 2006 e il 2016..
Questi dati inducono a confermare che la stigmatizzazione del peso in ambito sanitario può dissuadere le persone che vivono in condizioni di peso elevato dal richiedere cure mediche, con conseguenti problemi di salute e una rapida progressione della malattia.
Lo stigma del peso in ambito sanitario può assumere diverse forme, tra cui:
- attribuire erroneamente i problemi di salute al peso
- dedicare meno tempo ai pazienti in sovrappeso durante le visite
- fornire ai pazienti meno informazioni sulla salute
- far vergognare i pazienti affinché perdano peso
- non comprendere le complesse cause dell’obesità
- ritenere che il peso sia l’indicatore più importante della salute
- ignorare i disturbi e i sintomi dei pazienti
In questi studi, si stima che il 40% degli operatori sanitari statunitensi ammetta di avere convinzioni e atteggiamenti negativi nei confronti delle persone grasse.
Spesso i medici considerano i pazienti grassi come “fastidiosi” e meno disciplinati. Addirittura riferiscono di avere meno voglia di aiutare questi pazienti rispetto a quelli di peso medio o basso. Inoltre, medici, studenti di medicina, specializzandi e infermieri riferiscono di considerare le persone grasse come “senza successo“, “sciatte” e “ripugnanti“, arrivando persino a dire che non volevano nemmeno toccare questi pazienti.
Inoltre, è stato rilevato che i medici sono la prima o la seconda fonte più comune di discriminazione del peso per le donne, seconda solo ai familiari, mentre gli uomini hanno riferito che i medici sono la seconda fonte più comune, dopo i compagni di classe.
Non tutte le discriminazioni legate al peso sono così evidenti come gli esempi sopra riportati. Gran parte dei pregiudizi basati sul peso di cui soffrono le persone grasse sono legati alla mancanza di accessibilità all’interno delle strutture sanitarie e all’incapacità di trattare efficacemente le persone di peso superiore.
Per esempio, molti ambienti di cura non offrono camici ospedalieri e bracciali per la pressione sanguigna adatti, né tavoli per le radiografie e gli esami in grado di sostenere il peso o le dimensioni dei pazienti. Dagli studi citati emerge che il 91% delle strutture non dispone di bilance per i pazienti che pesano più di 150 chili.
Queste sono le cosiddette barriere fisiche all’assistenza che impediscono alle persone in sovrappeso di ricevere cure mediche adeguate e complete.
Circa il 75% delle persone intervistate riferisce di rifiutarsi di mettersi a dieta come reazione alla stigmatizzazione del peso in ambito sanitario. Di conseguenza, invece di aiutare i pazienti, gli operatori sanitari finiscono per peggiorare la salute mentale dei pazienti, perpetuare i disordini alimentari e aumentare lo stress psicologico.
I medici, le testate giornalistiche e le agenzie di salute pubblica hanno per decenni considerato e ancora considerano l’obesità come una minaccia alla società e alla salute pubblica non come una condizione individuale da trattare come tale!
Per questo l’obesità è diventata un’epidemia!
E per questo gli operatori sanitari si sono concentrati sulle sue implicazioni sociali piuttosto che considerarla come conseguenza di molte questioni sistemiche intersecate e di fattori biopsicosociali che possono avere un impatto sulla salute.
Molte delle risposte mediche a questa “epidemia”, come la raccomandazione di mangiare meno e di fare più esercizio fisico, finiscono in realtà per aumentare i pregiudizi sul peso, che come sappiamo portano a una miriade di ulteriori problemi. Eppure, la maggior parte degli operatori sanitari continua a impegnarsi comunque in questi sforzi contro l’obesità, vanificando in sostanza ogni buona intenzione.
È chiaro che gli attuali approcci alla lotta contro l’obesità non solo sono inefficaci, ma anche stigmatizzanti e dannosi. Ciò che i governi e le comunità mediche sembrano non capire è che l’obesità è spesso il risultato di disuguaglianze sistemiche, come la mancanza di accesso a cibi sani quando si vive in quelli che vengono definiti “deserti alimentari”, la discriminazione razziale, di sesso e di genere, la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria, la povertà, i traumi infantili e i messaggi culturali come il salutismo e la cultura della dieta.
QUI – QUI – QUI – QUI altri studi americani sulla grassofobia in ambiente medico
QUI uno studio sui pregiudizi sul peso e tra medici, dietisti e altri operatori sanitari in Polonia
Gli operatori della sanità possono combattere la grassofobia medica e creare un ambiente inclusivo?
Innanzitutto è necessario mettersi fuori dagli stereotipi medici relativi al peso e
- contrastare l’idea che il peso sia l’indicatore più importante per la salute
- raccomandare un’alimentazione intuitiva piuttosto che una dieta
- esprimersi chiaramente contro gli atteggiamenti grassofobici
- smettere di prescrivere la perdita di peso come trattamento medico
- adottare un approccio HAES (Health at Every Size – Salute per ogni taglia).
L’HAES è un approccio alternativo all’assistenza sanitaria che privilegia un modello inclusivo delle dimensioni e distoglie l’attenzione dal peso. Rifiuta le scale imprecise e stigmatizzanti, come l‘indice di massa corporea (BMI), e adotta un approccio olistico al benessere e alla salute, considerando la salute come un continuum in continua evoluzione e non come un unico obiettivo. Inoltre, la HAES celebra e rispetta la diversità corporea, ponendo i pazienti come esperti del proprio corpo.
Secondo lo studio Stigma in Practice: Barriers to Health for Fat Women, le cinque componenti della HAES comprendono:
- Movimento gioioso che migliora la vita: Questo significa impegnarsi in movimenti piacevoli invece di fare esercizio fisico per perdere peso.
- Mangiare per il benessere: Si tratta di ascoltare i segnali di fame e sazietà del proprio corpo e di mangiare cosa, quanto e quando si vuole.
- Assistenza sanitaria rispettosa: Trattare tutti i pazienti con rispetto, dignità e compassione.
- Miglioramento della salute: Impegnarsi in attività che promuovono il benessere, la felicità e la salute.
- Inclusività del peso: Fornire un’assistenza non stigmatizzante che riconosca la capacità di ognuno di essere sano, indipendentemente dal peso.
In una recente pubblicazione della dot.ssa Rebecca Puhl, ricercatrice nel campo dello stigma sociale dell’obesità, vengono suggerite le seguenti strategie per ridurre lo stigma sul peso nell’ambiente sanitario :
- Educare sulla complessa eziologia dell’obesità e sui complessi meccanismi di regolazione del peso corporeo.
- Educare sullo stigma basato sul peso e le sue conseguenze dannose sulla salute e benessere del
- Formare gli operatori sanitari per aumentare l’ autoconsapevolezza degli operatori rispetto ai pregiudizi personali sul peso corporeo.
- Fare formazione per migliorare una comunicazione supportiva, rispettosa e centrata sul paziente sulla salute legata al peso.
- Includere la tematica dello stigma sul peso nei programmi delle facoltà di medicina e formazione continua ini medicina.
- Implementazione degli standard per assicurare una formazione completa sull’obesità e nutrizione nelle scuole di medicina.
- Attuare molteplici interventi di riduzione dello stigma per i professionisti della salute
- Sviluppare metodologie per certificare la conoscenza dello stigma sul peso e abilità e pratiche libere da stigma.
Sul fronte italiano, il dott. Daniele di Pauli, psicologo e psicoterapeuta nonchè membro della commissione scientifica della SIO (Società Italiana Obesità), propone il cosiddetto modello C.I.A.O. nel quale le lettere che formano la parola di saluto amichevole ormai di uso internazionale indicano (Conoscere, Identificare i propri atteggiamenti personali, Accogliere, Organizzare l’ambiente) ovvero descrivono suggerimenti utili a tutti i professionisti della salute, per un’accoglienza rispettosa, libera da pregiudizi e centrata sui bisogni della persona affetta da obesità.
Negli ultimi anni è piuttosto facile vedere sfilare modelli e modelle non più magrissimi, coi capelli bianchi, con diverse identità di genere, con la pelle non proprio perfetta, con disabilità, insomma modelli e modelle con corpi non convenzionali.
Citiamo ad es., Ellie Goldstein, giovane modella inglese con sindrome di down, scelta come uno dei volti del mascara Gucci Obscur, oppure la modella plus size Tess Holliday, o ancora l’italiana Benedetta Barzini che a 78 anni è stata modella per Gucci (nel 2020 /2021).
Questa tendenza si muove ovviamente sull’onda del promuovere un cambiamento nell’estetica dominante e contribuire a scardinare gli stereotipi estetici e i pregiudizi.
Tuttavia, questo tentativo di rendere la moda inclusiva si infrange contro l’opacità e spesso la bruttezza dei negozi e dei reparti dedicati alle cosiddette taglie curvy. Fatta eccezione , probabilmente, solo per il brand Elena Mirò che per anni ha proposto un ‘idea di bellezza che va al di là delle taglie e ha realizzato una linea che si rivolge non solo alle donne plus size ma a tutte le donne.
Ci chiediamo: perchè mai chi è sovrappeso deve recarsi in un apposito negozio? O in un angolo oscuro del centro commerciale?
A questo proposito segnaliamo una sorta di esperimento sociale fatto dalla trasmissione televsiva svizzera Patti Chiari in cui le telecamere hanno seguito un uomo e una donna in sovrappeso nel loro peregrinare da un negozio all’altro alla ricerca di vestiti per la loro taglia.
Il risultato è stato avvilente: quando è andata bene gli sono stati proposti al massimo felpe o t-shirt over size. Quando è andata male gli è stato detto “non abbiamo niente per lei” “torni dopo una dieta” o “vada in negozi specializzati”. Le emozioni che hanno riferito di provare sono state vergogna, tristezza e senso di esclusione. Eppure volevano solo comprare abiti!
Chi non ha la taglia giusta, o chi ha disabilità deve rinunciare a vestirsi alla moda? Non può ambire a valorizzarsi con abiti e accessori? Deve sentirsi in colpa? Le aziende di moda vogliono rinunciare a questa fetta di mercato?
In realtà, ci sono diverse aziende che sono venute incontro alle esigenze delle diverse fisicità.
E’ il caso, ad es., della linea adaptive fashion di Tommy Hilfiger, la collezione di abiti disegnati per essere indossati in modo semplice e pratico da bambini e adulti affetti da disabilità; del brand ASOS , che ha voluto ampliare il suo già nutrito parco di proposte di abbigliamento, che già conta linee curvy, maternity, petite e tall, provando ad avvicinarsi alle esigenze di chi deve convivere con una disabilità permanente, attraverso una tuta studiata per chi usa la sedia a rotelle; il brand americano di Lingerie Aerie con la sua linea dedicata a tutti i corpi; il brand italiano UOMAN, il primo progetto al mondo che scardina il concetto di taglie e propone delle silhouette, degli stili ma senza numeri.
Per meglio comprendere il rapporto tra moda e inclusività, è interessante dare uno sguardo ai dati emersi dal Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca (gruppo Pambianco) e resi noti l’11-7-2023, c’è interesse verso la moda inclusiva e attesa che le aziende moda traducano ciò che mostrano nelle sfilate (con alcune modelle e modelli con diverse fisicità, età e genere) in comportamenti concreti.
Anche gli intervistati chiedono, quindi, di passare dalle parole ai fatti:
- il 60% degli intervistati dichiara interesse per le aziende che si impegnano sui temi dell’inclusione
- Il 47% ritiene che il settore moda sia quello più attivo su questi temi presentando spesso nelle sfilate modelli e modelle con diverse fisicità e identità di genere
- Il 30% però, ritiene che i messaggi inclusivi siano solo una strategia comunicativa senza risvolti pratici. Manca l’inclusione quando si entra nei negozi e si cercano i prodotti. Le richieste si concentrano in particolare sulle taglie, non soltanto curvy, ma anche per chi è basso, molto alto o molto magro.
- L’unisex, in base alla ricerca, sembra apprezzato solo da una nicchia di consumatori.
«Body positive», «plus size», «curvy»: etichette di cui liberarci?
La nuova bellezza passa da inclusione e body positivity
QUI la puntata della trasmissione “Patti Chiari” relativa all’esperimento sociale sulle taglie forti
Il termine “Diet Culture”, cultura della dieta, descrive un sistema di convinzioni che valorizza i corpi magri o tonici rispetto ad altri tipi di corpo e che collega il peso e le dimensioni del corpo alla salute e allo status sociale [ne abbiamo già parlato QUI].
La Diet Culture può essere una fonte non indifferente di stress e ansia e può spingere le persone a provare molte emozioni negative, tra cui paura, vergogna e senso di colpa per le loro scelte alimentari. E ancora, può incentivare comportamenti limitanti e compulsivi per quanto riguarda l’alimentazione e l’attività fisica. Inoltre, spesso la Diet Culture marchia alcuni cibi e comportamenti definendoli “buoni” o “cattivi”. Questo può portare le persone a provare un senso di sconfitta se non si conformano alle regole rigide che la cultura della dieta promuove.
L’idea che il cibo sia solo un carburante e che debba essere guadagnato è una nozione tossica che può creare disordini alimentari e disturbi alimentari. Il cibo è molto più di un carburante. È una parte sociale e culturale della nostra vita. Concentrarsi esclusivamente sul cibo come combustibile – o su quello buono o quello cattivo – ci isola dal godere e dall’abbracciare il cibo come parte più profonda e significativa della nostra vita.
Questo effetto si nota spesso dopo le feste più importanti, quando pubblicità e articoli invitano a disintossicarsi o a depurarsi per “resettare” o epurare il corpo dalle scelte alimentari “sbagliate”. Queste pratiche non solo non sono scientifiche e potenzialmente pericolose, ma spingono anche a pensare che il piacere del cibo debba avere delle conseguenze.
Inoltre, non tutti i componenti fisicamente benefici degli alimenti forniscono carburante. Gli alimenti sono pieni di nutrienti, sostanze fitochimiche, acqua, antiossidanti e altri fattori essenziali che contribuiscono a un corpo complessivamente florido, ma che forniscono poco in termini di carburante vero e proprio.
Sebbene gli aspetti degli alimenti che ci forniscono energia – carboidrati, grassi e proteine – siano fondamentali, essi rappresentano solo una parte del quadro generale della nutrizione.
Evitare alimenti ricchi di sostanze nutritive a favore di alimenti a basso contenuto calorico, o limitare l’assunzione di cibo in modo da non ottenere la giusta quantità di nutrienti per un funzionamento ottimale, fa sì che si perdano importanti qualità che il cibo ha da offrire. Questo può essere dannoso per la salute o contribuire a un cattivo stato di salute.
Cercare di attenersi rigidamente al consumo di soli alimenti ritenuti buoni, per quanto possa sembrare virtuoso, può essere considerato un disturbo alimentare chiamato ortoressia.
L’ortoressia è considerata una forma estrema di “clean eating”, un’attenzione ossessiva a quella che la persona ritiene essere la dieta sana “corretta”. Questa ossessione porta a interferire con la vita di tutti i giorni, anche dal punto di vista sociale, emotivo e altro.
Alcune caratteristiche dell’ortoressia sono:
- Una dieta restrittiva
- Rituali basati sul mangiare
- Evitare gli alimenti non considerati “buoni” o salutari
La cultura della dieta contribuisce all’ortoressia perché incoraggia a evitare certi alimenti o a limitare la dieta. Esempi sono l’evitare il glutine quando non si ha un’intolleranza o un’allergia, le versioni estreme del veganismo, le diete estreme a basso contenuto di grassi o di carboidrati, i detox, le purificazioni e l’evitare tutti gli OGM o gli alimenti non biologici.
L’ortoressia può portare ad altri disturbi come l’anoressia nervosa e i disturbi ossessivo-compulsivi, tra cui il disturbo da dismorfofobia corporea. I disturbi alimentari, così come i comportamenti alimentari disordinati, possono derivare direttamente dalla cattiva immagine del corpo che si verifica a causa della cultura della dieta e della glorificazione della magrezza.
I sistemi di credenze della cultura della dieta considerano la magrezza uguale alla salute e trasmettono il messaggio che i tipi di corpo al di fuori di una gamma ristretta sono considerati malsani. Sebbene perdere peso possa talvolta essere una scelta salutare, i metodi utilizzati per ottenere la perdita di peso non sono sempre salutari.
I servizi giornalistici e i social media spesso glorificano le storie di perdita di peso delle celebrità senza chiedersi se i metodi utilizzati siano sani o sostenibili. Questa pratica crea l’idea che la magrezza e la ricerca della perdita di peso siano la strada verso l’accettazione, la felicità e la salute.
I corpi che non rientrano nella norma di magrezza accettata possono assolutamente essere sani. L’aspetto non fornisce un quadro completo della salute di un individuo. Una dieta scorretta e la mancanza di esercizio fisico comportano un aumento dei rischi per la salute, a prescindere dalla taglia del corpo.
Come combattere la Diet Culture?
Anche se evitare del tutto la cultura della dieta è impossibile, data la sua natura pervasiva in tutti gli aspetti della società, ci sono modi per limitare la propria esposizione alla cultura della dieta e per opporsi ad essa.
Innanzitutto evitate qualsiasi tipo di social media, forum, gruppi online o programmi che vi facciano sentire come se non foste abbastanza bravi così come siete. È stato dimostrato che l’uso dei media aumenta la sensazione di scarsa immagine di sé, che è un aspetto importante della cultura dietetica.
Praticate la Body Neutrality (neutralità corporea) ovvero l’idea che ci si debba concentrare su ciò che il proprio corpo è in grado di fare in questo momento, nel presente, piuttosto che sull’aspetto che si vorrebbe che avesse. In questo modo non si cerca di manipolare o controllare il proprio aspetto. Al contrario, ci si concentrasul rispetto delle cose che si possono fare ora.
La pratica della neutralità corporea può aiutarvi ad allontanarvi dalla cultura della dieta e dall’etichettatura degli alimenti, aiutandovi invece a lavorare per onorare il vostro corpo così com’è ora.
Educate voi stessi sulla salute. Leggere e informarsi su cosa sia la salute generale può aiutare a comprendere meglio come concentrarsi esclusivamente sulla magrezza e sulla restrizione alimentare possa essere dannoso per la salute. Inoltre, aiuta a comprendere l’ampia gamma di modi per essere sani, compresi i diversi tipi di corpo e di modelli alimentari.
Sebbene i movimenti contro le diete e per l’accettazione del corpo stiano crescendo, la convinzione che tutti noi siamo destinati a controllare l’assunzione di cibo e ad aspirare a un certo tipo di corpo è ancora quella dominante e, ancora una volta, è radicata in problemi sistemici che non possono essere risolti senza cambiamenti sociali e politici fondamentali.
Tuttavia, come individui, possiamo lavorare per riconoscere questo sistema di credenze dannoso, denunciarlo quando lo vediamo e disimpararlo nel miglior modo possibile, in modo da poter iniziare a vivere in un modo che ci faccia sentire bene (e smettere di dare la nostra attenzione e il nostro denaro a un’industria che investe nel farci sentire male).
[What is diet culture by Christine Byrne ]
Di seguito alcuni interessanti articoli tratti dal Magazine statunitense SELF :
- We Have to Stop Thinking of Being ‘Healthy’ as Being Morally Better
- The Relentless Reality of Anti-Fatness in Fitness
- Why Emotional Eating Is Totally Normal, According to a Dietitian
- What the Dietitians Who Invented Intuitive Eating Think About Diet Culture Today
- How to Live Your Anti-Diet Values in a Weight-Obsessed World
- What to Do If You Want to Try Intuitive Eating but You’re Worried About Gaining Weight