Il giorno di San Valentino è appena trascorso.
Ma quest’anno non è stato solo il giorno delle cenette a lume di candela, delle rose rosse e dei cioccolatini ma anche il giorno in cui sono stati resi noti i risultati di un sondaggio sulla violenza on life nelle relazioni intime tra adolescenti in Italia, realizzato da Save the Children in collaborazione con IPSOS e pubblicato nel rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere on life in adolescenza”.
E, purtroppo, questi risultati non ci danno alcun motivo per festeggiare! Analizziamo alcuni dati partendo da come i ragazzi e le ragazze vivono le relazioni d’amore in adolescenza.
Il 30% degli adolescenti sostiene che la gelosia è un segno di amore e il 21% considera che condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner sia una prova d’amore. Il 17% delle ragazze e dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni pensa che in una relazione intima sia giustificabile uno schiaffo ogni tanto.
E ancora, quasi uno/a su cinque (19%) di chi ha o ha avuto una relazione intima dichiara di aver subito atteggiamenti violenti, schiaffi, pugni, spinte, lanci di oggetti. In una dimensione delle relazioni sempre più onlife, al 26% degli adolescenti che hanno o hanno avuto una relazione è capitato che il/la partner creasse un profilo social falso per controllarlo/a e ancora, l’11% degli intervistati ha dichiarato che le proprie foto intime sono state condivise da altre persone senza il proprio consenso.
Da questi dati emerge chiaramente il fatto che determinati modelli di comportamento violenti (dinamiche di potere e controllo, intromissione negli spazi personali del partner, violenza psicologica e violenza fisica fino alla violenza sessuale) siano stati fatti propri dagli adolescenti e che la loro crudeltà sia del tutto simile a quella degli adulti.
E’ evidente, e anche fortemente preoccupante, la normalizzazione di quei comportamenti che rimandano a un presunto gioco delle parti tra i sessi, per cui il rapporto sessuale non desiderato che segue al gioco di seduzione in realtà è voluto. Il 43% degli e delle adolescenti, infatti, si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’opinione che se davvero una ragazza non vuole avere un rapporto sessuale con qualcuno/a, riesce in qualche modo a sottrarsi.
Ciò, e questa opinione è davvero terribile, rimanda alla considerazione che ci sia comunque una responsabilità della vittima di violenza sessuale, come a dire che in qualche modo, se avesse davvero voluto, si sarebbe potuta sottrarre. E ancora, ben il 29% degli adolescenti è molto o abbastanza d’accordo con l’opinione che le ragazze possono contribuire a provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire e/o di comportarsi, mentre il 24% pensa che se una ragazza non dice chiaramente “no” vuol dire che è disponibile al rapporto sessuale. Infine, il 21% (senza differenza tra ragazze e ragazzi) è molto o abbastanza d’accordo con il fatto che una ragazza, seppur sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o di alcol, sia comunque in grado di acconsentire o meno ad avere un rapporto sessuale.
Sempre riguardo al consenso, il 90% ritiene necessario chiederlo sempre anche all’interno di una relazione di coppia stabile, ma poi l’opinione non si trasforma in comportamento, visto che il 36% ritiene di poter dare sempre per scontato il consenso proprio partner e il 48% ritiene che in una relazione intima sia difficile non acconsentire ad un rapporto sessuale se richiesto dal/la partner. Anche in questo caso, appare evidente che le dinamiche di controllo siano considerate accettabili e siano normalmente praticate dagli adolescenti.
Passando poi dalle opinioni alla realtà, è stato chiesto ai ragazzi e alle ragazze di raccontare delle esperienze di violenza fatte o subite. Il 65% di queste ragazze e ragazzi dichiara di aver subito dal partner almeno un comportamento di controllo: il 43% la richiesta di non accettare contatti da qualcuno/a sui social , il 40% di non uscire più con delle persone,il 39% di poter controllare i propri profili sui social, il 32% di non vestirsi in un certo modo. Il 25% poi ha raccontato che il partner avrebbe detto di essere capace anche di un gesto estremo facendosi del male.
E ancora, il 52% degli adolescenti in coppia dichiara poi di aver subito, almeno una volta, comportamenti violenti: il 34% è stato chiamato con insistenza al telefono per sapere dove si trovava, il 29% è stato oggetto di un linguaggio violento, con grida e insulti, il 23% è stato ricattato/a per ottenere qualcosa che non voleva fare, il 20% ha ricevuto insistenti richieste di foto intime, il 19% è stato spaventato da atteggiamenti violenti (schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti, il 15% è stato costretto a condividere foto intime con altri senza consenso.
Se quelli mostrati fino ad ora sono evidenze negative, possiamo trovare nel report anche alcuni dati positivi: il 58% degli adolescenti dichiara che negli ultimi tempi è diventato più sensibile ai temi di genere, il 43% ritiene che sarebbe utile uno sportello psicologico a scuola per sensibilizzare sul tema della violenza di genere, il 40% chiede che venga potenziata la formazione dei docenti in modo che siano in grado di intercettare i segnali relativi ai comportamenti violenti.
Ma non possiamo e non dobbiamo accontentarci di questo barlume di consapevolezza! Dai dati emerge senza dubbio sia la diffusione, soprattutto online, dei fenomeni di violenza e controllo nei confronti del partner sia la loro normalizzazione e, anche se i giovani sono più informati, è altrettanto evidente che sono particolarmente deboli e vulnerabili, in particolare dopo l’esperienza della solitudine durante la pandemia .
Con l’isolamento dovuto al Covid sono venute a mancare quelle figure forti di riferimento, il miglior amico/a per intenderci, che sono alla base delle relazioni e che aiutano a costruire le basi per le relazioni amorose. I ragazzi e le ragazze hanno cercato di colmare questa mancanza attraverso le piattaforme online ma inconsapevolmente hanno creato vuoti ancora più grandi da colmare.
Per questo, quando si parla di educazione socio emotiva non si può prescindere dall’educazione digitale e per creare percorsi di questo tipo sono necessarie figure professionali specializzate che possano garantire un approccio olistico al problema. Questo è un passo importante che non deve essere sottovalutato e che non può essere affidato alle sole famiglie e agli insegnanti. E’ necessario diffondere a tappeto la conoscenza dei percorsi e degli strumenti di aiuto, ove già esistenti, e crearne di nuovi e professionali ex novo, insieme a punti di ascolto e sostegno nelle scuole. Così come è indispensabile un approccio sistemico in cui i giovani trovino spazio di collaborazione, in particolare nella definizione delle strategie antiviolenza, condividendo il loro punto di vista e le loro proposte.