Il Global gender gap report, redatto dal World economic forum, anche quest’anno non dà buone notizie ai 146 paesi presi in esame, Italia compresa.
Sulla base dei dati attuali, infatti, si stima che una piena parità di genere possa arrivare solo tra 134 anni, nonostante i paesi membri delle Nazioni Unite, sottoscrivendo l’Agenda 2030,avevano promesso di raggiungerla già entro la fine di questo decennio.
Ma cerchiamo di capire meglio come stanno le cose.
La valutazione viene svolta sulla base di 4 parametri: partecipazione e opportunità economiche, livello di istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico. Ad ognuno di questi parametri viene attribuito un punteggio, dalla somma dei punteggi si crea un indice da 0 (nessuna parità di genere) a 1 (completa parità). L’indice può essere espresso anche in termini percentuali, ovvero da 0.01 % a 100% (che corrisponde all’assenza di disparità).
In media, tutti i paesi presi in esame, tranne Iran, Pakistan, Ciad e Sudan superano il 60%. Anche se, bisogna tener presente che tra i paesi presi in esame non è presente l’Afghanistan, dove la condizione delle donne è nettamente peggiorata dopo il ritorno al potere dei talebani.
Per quanto riguarda l’Europa i dati non sono particolarmente sconfortanti: il punteggio medio dei paesi europei, infatti, è intorno al 75% e sette delle prime 10 posizioni a livello globale sono ricoperte da Paesi del vecchio continente.
Lo stato che si avvicina di più a una piena parità di genere è l’Islanda, con un indice di 93,5% ed è l’unico paese a superare il 90%. Seguono la Finlandia e la Norvegia, con l’87,5%, la Svezia con l’81,6%, la Germania con l’81%, l’Irlanda all’80,2 %, la Spagna al 79,7%.
L’Italia è in 87a posizione con un indice del 70%.
In Nord America, il punteggio di parità di genere è del 74,8%, ma la regione mostra disparità significative nei ruoli di leadership economica e politica. L’America Latina e i Caraibi si distinguono per il maggiore progresso dal 2006, con un punteggio attuale del 74,2%, trainato da miglioramenti nella partecipazione economica e nell’emancipazione politica.
Nei paesi in via di sviluppo, le donne spesso affrontano ostacoli significativi nell’accesso all’istruzione e alle opportunità economiche, mentre in molte nazioni sviluppate persiste il divario retributivo e la sotto-rappresentazione delle donne nei ruoli di leadership.
Osserviamo ora più nel dettaglio i quattro parametri presi in considerazione.
Nel settore della salute e sopravvivenza,l’indice è molto alto, 96%, ma persistono problemi legati alla speranza di vita e alla parità nel rapporto di genere alla nascita in alcune regioni.
L’’istruzione ha raggiunto il 94,9% a livello globale, ma con notevoli variazioni regionali. L’Europa e il Nord America sono vicine alla parità completa, mentre l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale devono ancora colmare significativi divari di alfabetizzazione e iscrizione scolastica.
La partecipazione all’economia presenta un indice pari al 60,5 per cento e, a riguardo, nel report viene evidenziato che “le prospettive economiche delle donne e delle ragazze sono minacciate dalle continue recessioni e dalle crisi prolungate”. Tuttavia, sono sempre di più le donne che hanno un impiego, seppure con forti differenze tra stato e stato, ma la loro presenza diventa sempre più sporadica man mano che si sale verso i ruoli di maggiore responsabiltià e meglio retribuiti. Rispetto al 2006, comunque, la parità di genere in ambito economico e lavorativo ha fatto un balzo in avanti di 4,2 punti percentuali nei paesi presi in considerazione.
Anche la partecipazione politica resta un punto dolente, con le posizioni politiche di alto livello che rimangono in gran parte inaccessibili al sesso femminile a livello globale. Ad oggi, infatti, il gender gap in quest’ area si è chiuso soltanto al 22,5 % nell’intero campione.
Tuttavia, nell’arco del 2024 si terranno elezioni in ben 76 Paesi, per un totale di 2 miliardi di elettori che decideranno i destini di ben 4 miliardi di persone (in Europa, USA, India, Taiwan. etc.) Per questo, la rappresentanza politica delle donne e il divario di genere complessivo potrebbero essere destinati a migliorare, ma c’è un grande interrogativo : secondo il Democracy index 2022 redatto dall’Economist, nella metà dei paesi al voto non vige un sistema democratico compiuto e le elezioni potrebbero non essere un vero esercizio di libertà e democrazia.
Ma torniamo all’Italia e al suo 87° posto, con un indice pari a 0,703 su 1, in calo rispetto all’anno precedente di 8 posizioni.
Nell’ambito della Partecipazione economica e opportunità, l’Italia si caratterizza per una persistente sottorappresentazione nelle posizioni di leadership e una disuguaglianza salariale che continua a essere problematica (95º posto nel gap salariale di genere).
Per quanto riguarda l’Istruzione l’indice è molto alto, oltre il 99 % nell’istruzione terziaria mentre ci sono difficoltà nell’istruzione primaria e secondaria.
L’indice è altissimo anche in tema di salute e aspettativa di vita delle donne, anche qui oltre il 99%, ma ci sono ancora disparità da superare, soprattutto nelle regioni e nei gruppi demografici marginalizzati, che richiedono politiche sanitarie inclusive e accessibili per tutte.
L’indice più basso, invece, lo troviamo nell’ambito della partecipazione politica e anche se il 36,1% dei seggi del Senato sono occupati da donne siamo ancora molto lontani dalla parità. La partecipazione delle donne nei luoghi politici decisionali e nei ministeri, infatti, è davvero molto, molto bassa.
Da questi dati, globali e nazionali, ancora una volta emerge la necessità di misure urgenti per colmare il gap esistente tra uomini e donne in ambito economico-salariale e nell’ambito della partecipazione politica !
Non bastano le campagne di sensibilizzazione né le quote rosa nei CdA e nei collegi Sindacali, nei partiti e nelle Istituzioni!
E’ necessario un cambiamento culturale in primis e anche nei modelli organizzativi per incoraggiare la leadership femminile e per vigilare sulle discriminazioni a tutti i livelli.
E’ necessario innanzitutto uscire dal quel modello patriarcale che educa le donne alla dipendenza e in particolare alla dipendenza economica!
Perchè l’economia è femminista!
E non è un caso che il Premio Nobel per l’economia nel 2023 sia stato assegnato all’accademica e ricercatrice statunitense Claudia Goldin, per la sua ricerca sull’occupazione femminile, che ha contribuito a identificare le maggiori determinanti delle differenze di genere che si osservano ancora oggi nel mercato del lavoro di tutti i paesi del mondo.
Ne parleremo ancora, continuate a leggerci!