Liliana Segre ha recentemente affermato «So cosa dice la gente del Giorno della memoria. La gente già da anni dice, ‘basta con questi ebrei, che cosa noiosa’. Il pericolo dell’oblio c’è sempre… fra qualche anno della Shoah ci sarà una riga nei libri di storia, e poi nemmeno quella… In Europa moltissimi ragazzi, con percentuali preoccupanti, neanche sanno che sia esistita la Shoah. E c’è anche il problema di un antisemitismo di ritorno, dobbiamo far sì che la memoria non passi e nelle scuole si ricordi che cosa è stato l’Olocausto”.
In effetti, secondo il Rapporto Eurispes Italia 2020 una parte minoritaria, ma comunque significativa della popolazione italiana, coltiva anche oggi pregiudizi antisemiti, fino ad arrivare a posizioni di negazionismo rispetto alla Shoah.
Ma esaminiamo i dati.
Rispetto all’affermazione secondo la quale l’Olocausto degli ebrei non è mai avvenuto, il 15,6% degli intervistati si dice d’accordo (con un 4,5% addirittura molto d’accordo ed un 11,1% abbastanza), a fronte dell’84,4% non concorde. Invece l’affermazione secondo cui l’Olocausto non avrebbe prodotto così tante vittime come viene sostenuto trova una percentuale di accordo solo lievemente superiore: 16,1% (il 5,5% è molto d’accordo), mentre il disaccordo raggiunge l’83,8%.
Se confrontiamo questi dati con quelli relativi alla prima indagine condotta dall’Eurispes su questi stessi temi nel 2004, vediamo che il numero di cittadini secondo i quali lo sterminio per mano nazista degli ebrei non è mai avvenuto è aumentato: dal 2,7% al 15,6% e sono aumentati, sebbene in misura meno eclatante, anche coloro che ne ridimensionano la portata (dall’11,1% al 16,1%).
Preoccupanti, poi, sono i dati relativi agli episodi di antisemitismo e lo sono ancora di più se consideriamo che proprio ieri, a Milano, sul murale realizzato sulle pareti del Memoriale della Shoah di Milano sono apparse le scritte “W Hitler” e “Fuck Israele”.
Secondo la maggioranza degli italiani, i recenti episodi di antisemitismo sono casi isolati, che non sono indice di un reale problema di antisemitismo nel nostro Paese (61,7%). Al tempo stesso, il 60,6% ritiene che questi episodi siano la conseguenza di un diffuso linguaggio basato su odio e razzismo. Per meno della metà del campione (47,5%) gli atti di antisemitismo avvenuti anche in Italia sono il segnale di una pericolosa recrudescenza del fenomeno. Per il 37,2%, invece, sono bravate messe in atto per provocazione o per scherzo.
Se si entra più nel dettaglio, i più giovani sono meno propensi a definire gli episodi antisemiti come casi isolati: lo fa meno della metà dei 18-24enni (46,7%) ed il 50,8% dei 25-34enni; la quota raggiunge il 55,7% tra i 35-44enni, per salire al 69,5% tra i 45-64enni ed al 68,9% dai 65 anni in su.
Se gli esiti del Rapporto Eurispes Italia sono preoccupanti, quelli del sondaggio commissionato dalla Conferenza sulle rivendicazioni materiali ebraiche contro la Germania (Claims Conference) e condotto su 50 stati americani sulla conoscenza dell’Olocausto tra i Millennial e la generazione Z sono addirittura scioccanti!
In tutti gli Stati Uniti, c’è una chiara mancanza di consapevolezza dei fatti storici chiave; Il 63% di tutti gli intervistati a livello nazionale non sa che 6 milioni di ebrei furono assassinati e il 36% pensa che durante l’Olocausto furono uccisi “due milioni o meno di ebrei”. Inoltre, sebbene durante l’Olocausto in Europa vi fossero più di 40.000 campi e ghetti, il 48% degli intervistati a livello nazionale non riesce a nominarne nemmeno uno.
Ma l’evidenza più scioccante è che quasi il 20% dei Millennial e della Generazione Z di New York ritiene che gli ebrei abbiano causato l’Olocausto!
Lo stesso sondaggio è stato effettuato anche in Europa. In diversi momenti dal 2019 al 2021.
Nei Paesi Bassi, sebbene esistessero diversi campi di transito e uno dei nomi più riconoscibili dell’Olocausto, Anna Frank, si nascondeva ad Amsterdam, la maggioranza dei Millenial e GenZ intervistati olandesi non hanno citato il proprio Paese come paese in cui ha avuto luogo l’Olocausto, anzi il 23% ritiene che l’Olocausto sia un mito o che il numero di ebrei uccisi sia stato notevolmente esagerato, mentre il 12% non ne è sicuro.
In Gran Bretagna, il 32% degli intervistati non è stato in grado di nominare uno solo degli oltre 40.000 campi o ghetti istituiti durante la seconda guerra mondiale e solo il 14% degli intervistati è riuscito a nominare Bergen-Belsen, il famigerato campo di concentramento dove furono assassinate Anne Frank e sua sorella Margot., nonostante Bergen-Belsen sia stata liberata dall’11a divisione corazzata britannica alla fine della guerra.
In Austria, quando è stato chiesto di nominare un campo di sterminio, campo di concentramento o ghetto di cui avevano sentito parlare, il 42% degli austriaci non ha saputo nominare Mauthausen, un campo di sterminio che imponeva alcune delle condizioni di prigionia più dure e che si trova a circa 100 miglia da Vienna, la capitale dell’Austria. E ancora, Mentre il 51% conosceva l’austriaco Adolf Eichmann, l’amministratore e organizzatore della cosiddetta “Soluzione finale” di Hitler, solo il 14% sapeva che Eichmann era austriaco .
In Francia il 45% dei Millennial non è a conoscenza della collaborazione del governo francese con il regime nazista durante l’Olocausto e, addirittura, il 25% dei Millennial non è sicuro di aver mai sentito parlare – o di non aver sentito parlare – dell’Olocausto.
Ecco, dunque, che diventa ancora di più un imperativo per ogni essere umano dotato di etica e morale impegnarsi perché la Shoah continui a essere studiata e ricordata da tutti, se possibile ancora di più.
Ma come fare?
Secondo Anna Foa, storica ebrea: «L’unico modo di tener viva la memoria della Shoah è quella di aprirla ai genocidi che hanno costellato il Novecento e che continuano a realizzarsi, in questo nostro terzo millennio, nel resto del mondo … se ci limiteremo a raccontare quello che è successo al popolo ebraico nella Shoah, se ci chiuderemo in una visione difensiva della memoria, avremo perso la battaglia in partenza»
Pertanto, il nostro impegno di uomini e donne del nuovo millennio deve essere quello non solo di raccontare la Shoah ma di guardare alle nuove tragedie umane dei nostri giorni attraverso quello che è accaduto in passato, capire il male di oggi attraverso il male di ieri, per riconoscerne le origini, evidenziarne le manifestazioni, prevenirne le conseguenze.
Se la memoria della Shoah dovesse rimanere uno sterile ricordo volto soltanto a difendere l’identità degli ebrei non servirà a nulla e sarà destinata a svanire: ricordiamocelo, soprattutto il 27 gennaio.